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Dopodimàn vien el tremaio!

È una frase che si può dire solo il 1° maggio. Dunque tremate, e leggete Meneghello.

 

 

Questo blog è nato il 6 maggio 2016. Quindi è la prima volta che posso onorare a tempo debito Luigi Meneghello e le sue zie, pubblicando qui un brano scritto tanti anni fa per il mio libro È più facile scrivere bene che scrivere male (Ponte alle Grazie 2011, ma la prima edizione è del 2002).

 

Tremaio Meneghello Jura Pomo Pero dialetto trasporto

La prima edizione di Jura (Garzanti 1987) e la terza di Pomo pero (Rizzoli 1990)

 

Luigi Meneghello (nato a Malo, in provincia di Vicenza, nel 1922 e morto nel 2007) non solo ha scritto libri meravigliosi in cui racconta il mondo perduto dell’infanzia attraverso l’invenzione di una lingua che fonde italiano e dialetto (Libera nos a malo, 1963; Pomo pero, 1974), ma ha riflettuto con estrema lucidità sul rapporto fra italiano e dialetto e sulla storia linguistica italiana. Tra i brani che meglio illustrano la sua visione (e la sua tecnica) lui stesso ha presentato, in una conferenza, quello che segue.

Sul paese incombeva la minaccia del tremaio, che veniva ogni anno a primavera inoltrata, una calamità stagionale. Le zie lo sapevano prima e annunciavano col viso sgomento, Dopodimàn vien el tremaio! Ma gli angolini delle labbra s’arricciolavano dolcemente, smentivano l’orrore, dicevano: rejoice! Era la festa del lavoro, passavano le ore nuove del primo giorno di maggio, scendeva la sera che ogni mese cambia colore, s’andava a dormire aspettando. Due giorni dopo veniva l’innocuo tremaio, e gioivamo.

Dentro avevamo i nostri organi vitali, cuoricino, corradella e il purpureo figà; e radicato là in mezzo, tenace come un pezzo di gramigna, il viscere più intimo che invano le zie agognavano di strapparci, la quinta budella. La loro efferata passione aveva un risvolto eccitante, come di rischio ben verisimile ma non vero. E quando le zie imbestialite ci venivano addosso col coltellaccio del pesto per cavarci la quinta budella si scatenava in noi, nel pericolo, un tremaio di gioia.

(Luigi Meneghello, Pomo pero, Rizzoli 1974; citato in Jura, Garzanti 1987 e poi BUR 2003)

John Alcorn Pomo pero

Il disegno di John Alcorn per l’edizione Rizzoli di Pomo pero

 

Come forse avrete capito, questo tremaio-babau è il risultato di uno scherzo, di un gioco di parole: è “el 3 maio”, il 3 maggio. Funziona solo in dialetto, perché in italiano un eventuale “tremaggio” non fa tremare. O meglio: lo scherzo può nascere solo in un ambiente in cui si parla in veneto, ma funziona benissimo anche in italiano, una volta che quella parola sia stata “trasportata” in italiano. È proprio questo l’intento (stilistico e teorico) di Meneghello: “trasferire e ‘trasportare’ liberamente il parlato vicentino (la lingua della natura) nello scritto ‘italiano’ (la lingua dell’artificio, e dell’arte)”. Il testo di Meneghello è indubbiamente uno “scritto italiano”, ma al suo interno troviamo idee e parole che derivano direttamente dal mondo dialettale di Malo: non solo tremaio, ma anche corradella e figà (che non è automatico tradurre in italiano perché sono organi che, in quanto tali, esistono solo in dialetto); quanto alla quinta budella (la “cuinta buela” del dialetto), “badate che questo termine – commenta Meneghello nella conferenza poi raccolta in Jura – non ha qui nessuna sfumatura apertamente oscena o indecente, noi credevamo che volesse dire, e ancora lo crediamo, semplicemente ‘la quintessenza’ di un uomo, un misterioso superviscere, piccolo e potentissimo, chiuso nella pancia”. E la minaccia delle zie-orchesse scatena – come sempre avviene nei bambini di fronte a un finto pericolo, a un’aggressione per burla – un brivido di eccitazione, un “tremaio di gioia”: “siamo partiti dal tremare che è fonte della paura, arriviamo a quello che è il frutto ultimo della gioia, un parossismo simile e opposto”.

Come vedete, la tecnica del “trasporto” è un potente mezzo di arricchimento dell’italiano; anche se non parliamo il dialetto di Meneghello, anche se, per ragioni generazionali o geografiche, abbiamo con il dialetto un rapporto del tutto diverso, riconosciamo immediatamente la “necessità” di quella scelta linguistica; e abbiamo trovato un nuovo nome, straordinariamente efficace, per definire – e capire, e provare – quella tipica, e magari dimenticata, emozione infantile: il tremaio di gioia.

 

Meneghello Rizzoli Pomo pero

Luigi Meneghello, Pomo pero, Rizzoli 1990, p. 15

 


 

Questo brano proviene da È più facile scrivere bene che scrivere male, Ponte alle Grazie 2011, pp. 162-164. Su Meneghello potete leggere qui anche il post Tutti i pronomi tranne io, dove trovate anche una sua breve biobibliografia.

 

"È più facile scrivere bene che scrivere male" Birattari "Ponte alle grazie" "lingua italiana" stile scrittura

6 Commenti
  • Due giorni fa l’eReader su cui stavo leggendo questo suo libro mi è caduto, fracassandosi irreparabilmente. Oltre al dispiacere per la perdita dell’oggetto, mi è scocciato dover interrompere la lettura. Avevo di poco superato la metà e mi stava piacendo. Era molto stimolante, così come anche le letture consigliate. Sull’onda dell’entusiasmo, avevo acquistato un libro di Aldo Buzzi, ma anche questa lettura dovrà attendere un nuovo eReader…

    9 ottobre 2017 at 23:12
      • Quella sera, poco prima del “disastro”, avevo pensato che ero contenta di avere tutti quei libri dentro il lettore e stavo pensando di rileggerne uno in particolare. Amen. Almeno è tutto riscaricabile.
        Comunque, tornando al suo libro, ho trovato illuminanti diversi suoi commenti sui testi degli autori.

        10 ottobre 2017 at 19:11
  • Son tornata, con un nuovo mezzo ho potuto proseguire e terminare la lettura. Rinnovo i complimenti e leggerò altro di suo.

    Come le accennavo, ho acquistato anche “Stecchini da denti” di Buzzi. L’edizione e-book è della Libreria degli Scrittori che, a quanto pare, si rifà all’edizione Mondadori. Ebbene, non c’è mica il passaggio delle scarpe vecchie da buttare, presente sul suo libro sullo scrivere bene! Possibile che l’edizione Ponte alle Grazie di “Stecchini da denti” abbia delle cose in più?

    11 novembre 2017 at 14:49
      • E già da questo capisco che ci sono differenze in queste edizioni, dal momento che lei mi parla del numero 14 e io invece ho tutto senza numeri. Ho solo la suddivisione nelle tre parti: viaggio, vita e gastronomia.
        Il testo non presenta nemmeno righe bianche tra un brano e l’altro e infatti la sensazione era quella di passare da palo in frasca.
        Le ultime righe della parte degli appunti di vita parlano del cammello, della paglia e della goccia che stramazzano e traboccano.

        11 novembre 2017 at 15:13

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