Milton Glaser Mostly Mozart Festival Lincoln Center

Fantasie, quasi sonate 1

È uscito da New Press Edizioni un mio libretto che contiene tre racconti musicali. Il primo, su Mozart, è drammatico, intriso di romanticismo, con un accenno al tipico tema fantastico del patto col diavolo. Qui trovate l’inizio, da leggere ascoltando l’aria degli armigeri nel secondo atto del Flauto magico.

 

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“Der, welcher wandert diese Strasse” (Mozart, Il flauto magico, a. II, sc. 28)

 

 

FANTASIA SU UN TEMA DEL REQUIEM

 

La febbre, e le palpebre pesanti, e gli occhi velati da una nebbia che av­volge e nasconde i pochi mobili della stanza, e il sudore che impre­gna le lenzuola at­torcigliate, e quell’odore. Da quanto tempo non la puliscono, questa stanza, pensò Wolfgang. O forse è l’odore del mio corpo gonfio, un odore di morte, un sapore di morte sulla lingua, in gola, un sapore che sof­foca, più ancora del caldo in­sopportabile, più degli ac­cessi di tosse. Come di­stinguere una veglia ottusa e dolente da un sonno affollato di in­cubi, osses­sioni, ricordi? Quest’uomo imponente, dall’aria grave, vestito di grigio, com­parso all’improvviso senza fare rumore, è davvero ai piedi del letto, adesso, o è un’immagine rimasta impigliata nella mia mente, un messag­gero di sventura giunto dal passato, inviato dal futuro?

«Wolfgang, sei sveglio? È arrivato il dottore.»

Mentre il grigio dottore, senza dire una parola, estraeva da una borsa i suoi strumenti – che a Wolfgang parvero incongrui strumenti musi­cali: un corno di bassetto, flauti a becco sottili come cannucce, un’armonica a bicchieri, un piatto senza il suo indi­spensabile compagno – la luce dorata del tramonto incideva ombre nere su una parete della stanza. Quello che doveva essere un can­deliere posato sullo scrittoio davanti alla fine­stra si trasformò nelle co­lonne maestose di un tempio, il tempio di Iside. Quando si era avventu­rato al suo interno? La febbre dilata e comprime a suo piacimento i ricordi, trasforma i giorni in anni. E Iside aveva posto Wolfgang sotto la sua prote­zione, o al con­trario quella malattia era la punizione per aver profanato il luogo sacro alla Grande Dea?

«Una febbre cerebrale acuta, forse maligna, con reumi e sangue nel­l’e­spet­torato, segno indubbio di umori corrotti, come il gonfiore delle membra.» Il medico aveva una voce nasale e priva di espressione; sem­brava recitasse una filastrocca – o una preghiera – imparata a memoria quando era studente e buona per tutte le occasioni. «Rimedio necessario, impossibile sapere se suf­ficiente: cavare sangue.»

Mentre il dottore procedeva al salasso, la nebbia davanti agli occhi di Wolfgang si infittì ancora, e l’immagine del tempio di Iside scompar­ve dietro una sorta di cortina, come se il fumo che in quei giorni usciva senza sosta dal Vesuvio si fosse raccolto tutto in quella came­ra, come se la camera e i suoi oggetti e i suoi occupanti fossero sul punto di essere sepolti sotto uno strato di cenere simile a quello che aveva cancellato Pompei.

«Si salverà?» chiese il padre Leopold al medico.

«Se supererà l’accesso di febbre. Altrimenti morirà.»

«Non voglio morire, ho solo quattordici anni!» gridò Wolfgang, o si sforzò di gridare quella parte di lui che aveva ancora l’ener­gia di tentare una ribellione.

«E perché mai non si potrebbe morire a quattordici anni?»

Era stato il medico a parlare? Era una voce del tutto diversa, in cui vibra­va una nota di stupito sarcasmo. Il volto grigio era impassibile, ma nel fondo di quegli occhi, all’improvviso penetranti, lampeggiava un fuoco senza ca­lore, e nono­stante l’afa ormai estiva del giugno napole­tano e la febbre che lo consumava, Wolfgang si sentì invadere da un brivido gela­to, come se qualcuno avesse spalancato una finestra nel pieno di un crudo inverno austriaco.

«Tornerò fra due ore per un altro salasso, e con la polvere nera» disse il me­dico uscendo. La sua voce era tornata nasale e incolore. È davvero un medico? si chiese Wolfgang. Quell’inspiegabile sensazio­ne di gelo che gli aveva la­sciato lo sguardo del visitatore pareva avesse placato per un momento la feb­bre, donando alla sua mente una sovrannaturale lucidità.

Il fuoco che ho visto in quegli occhi non era di questo mondo. Ma no, no, è questa città superstiziosa e fanatica che mi mette in testa certe idee, e il deli­rio della febbre. Non avremmo mai dovuto venire a Napoli. Questo cielo troppo azzurro, questo sole troppo caldo, que­sta vita che trabocca non sono fatti per i nostri corpi pallidi e delicati.

O forse è una maledizione degli antichi dei, turbati nel loro riposo. Mio padre, con tanto di guida tedesca in mano, ha voluto portarmi a tutti i costi a visitare Ercolano e Pompei, perché non c’è niente in Europa che possa stare alla pari di queste rovine appena scoperte. Ma perché distur­bare il sonno dei morti? Solo per soddisfare la cu­riosità dei viaggiatori alla moda? E che diritto avevamo di passeggia­re nel tempio di Iside, nelle sale dove potevano entrare solo gli ini­ziati, e perfino nella casa della dea? Abbiamo toccato con le nostre mani impure quei segni sacri tracciati sulle pareti, senza conoscere il loro significato e il loro potere… La febbre era tornata, forse ancora più alta, le tempie gli pulsa­vano con uno sfrenato tempo di danza. Ogni rientranza nelle pareti era una nicchia in cui si ergevano, protette dall’oscurità, sta­tue di dei dalla testa di sciacallo o dal corpo di ippopotamo, e nel fregio di stucco lungo i muri guizzavano le code dei serpenti sacri. Oh, salvami, Iside, fonte di misericordia! Pietà di me, Iside, pietà.

 

Pompei tempio di Iside Mozart,

Il tempio di Iside a Pompei nel 1788 (stampa acquerellata, Francesco Piranesi e Louis-Jean Desprez)

 


 

 

Il racconto continua nel libro Fantasie, quasi sonate, New Press Edizioni, 2020. Fantasia su un tema del Requiem, come il successivo Ultima sera di Carnevale, risale al lontano 1998, ed è stato scritto per i programmi di sala dei concerti dell’Orchestra Guido Cantelli al Conservatorio di Milano (quindi ringrazio il mio committente, l’allora responsabile dell’ufficio stampa dell’orchestra, Filippo Poletti). Si tratta, appunto, di una fantasia, ma prende spunto da alcuni fatti reali. Il 18 e 19 giugno del 1770 il quattordicenne Mozart fece insieme al padre un’escursione sul Vesuvio e a Ercolano e Pompei, dove visitò il tempio di Iside, venuto alla luce, con grande clamore inter­nazionale, nella campagna di scavi del 1764-1766. «Oggi il Vesuvio fuma parec­chio, accidenti, a tutto spiano» scrisse Wolfgang alla sorella in una lettera del 5 giugno. Non abbiamo notizia di una sua malattia durante il soggiorno napoletano, ma nel corso dell’infanzia e della giovinezza Wolfgang fu più volte in pericolo di vita (andò in coma nel 1765 all’Aia, probabilmente per una febbre tifoidea, e si ammalò di vaiolo nel 1767 a Olmütz). L’uomo in grigio, attorno al quale è fiorita tanta parte della leggenda che avvolge la morte di Mozart, era un intendente del conte Franz von Walsegg, che si dilettava di musica e soleva acquistare opere da vari compositori che poi faceva passare per sue.

L’immagine sopra il titolo è un particolare del manifesto disegnato da Milton Glaser nel 1983 per il Mostly Mozart Festival al Lincoln Center di New York, usato anche per una bella edizione Guanda delle lettere di Mozart.

 

mozartguanda

2 Commenti
  • Complimenti, carissimo Massimo! Un caro saluto! Filippo Poletti

    22 ottobre 2020 at 16:37

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