chalumeau Vivaldi Birattari racconti "Fantasie, quasi sonate!

Fantasie, quasi sonate 2

Il secondo racconto musicale contenuto nel libretto Fantasie, quasi sonate è su Antonio Vivaldi. A Venezia, l’ultima sera di Carnevale del 1740, Arlecchino, Pantalone, Truffaldino e altre maschere trascinano sul palco il Prete Rosso, vecchio (be’, ha un paio d’anni più di me…) e ormai dimenticato in patria, e mettono in scena la sua vita e le sue opere, con l’aiuto di personaggi che passano di lì. Questa scena proviene dalla parte centrale del racconto.

 

 

Vivaldi, L’estro armonico, concerto n. 11 in Re minore RV 565, Allegro – Adagio e spiccato – Allegro

 

 

ULTIMA SERA DI CARNEVALE

[…]

VIVALDI – Adesso, questa musica non la vuole sentire più nessuno. Città ingrata. Mi costringeranno all’esilio.

ARLECCHINO – Ma don Antonio, lo sapete com’è il pubblico dell’opera. Va dietro all’ultima moda, perde la testa per l’una o l’altra cantante, in fondo la musica è l’ultima cosa che gli interessa. Pensate ai vostri meravigliosi concerti. Nessun compositore veneziano potrà mai dire di averne scritti di migliori.

VIVALDI – Anche quelli non li vuole più nessuno! L’Ospedale della Pietà non mi compra più i concerti, dopo tutto quello che ho fatto per quelle povere orfanelle!

TRUFFALDINO – (ammiccando) Con quelle povere orfanelle.

VIVALDI – Con quelle povere orfanelle: concerti, sonate, sinfonie, oratori, serenate… Venivano da tutta Europa per ascoltare la mia musica.

UNA DAMA IN MASCHERA – Venivano da tutta Europa ad ascoltare noi. Solo ad ascoltarci, non a vederci: dovevamo starcene sempre dietro le grate, come monache di clausura.

ARLECCHINO – (a Vivaldi) È un’orfanella?

VIVALDI – Credo di sì. Mi pare una dei primi tempi…

TRUFFALDINO – Be’, quelle grate non dovevano essere insuperabili, dato che alcune orfanelle sono pure rimaste inc…

VIVALDI – (arrossendo ed estraendo un rosario dalla tasca) Vergogna!

LA DAMA MASCHERATA – (ignorandoli) Meno male che c’era la musica. Passavamo tutto il tempo a studiare o a insegnare alle più piccole, e suonavamo i concerti di don Antonio. Che stravagante estro armonico! Che cimento dell’armonia e dell’invenzione! (si solleva per un istante la maschera, rivelando uno sguardo sognante)

TRUFFALDINO – È innamorata cotta

VIVALDI – L’ho riconosciuta, è la Michieletta del Violino!

MICHIELETTA – E dàgli con ’sto violino. Ero obbligata a suonare il violino, dicevano che ero la più brava di tutte, ma a me non piaceva. C’era un sacco di altri strumenti molto più divertenti del violino. Anche la Lucetta della Viola preferiva di gran lunga suonare il trombone da caccia, o almeno la viola all’inglese, con tutte quelle corde in più. La Biancamaria dell’Organo andava matta per la tiorba, e l’Apollonia, che cantava, sperava che ogni tanto la lasciassero suonare alla tromba marina. A me invece piaceva il salmoè.

ARLECCHINO ­– Il cosa?

MICHIELETTA – Il salmoè, quella specie di piffero che assomiglia un po’ anche all’oboe, però in fondo sembra più una delle canne della cornamusa.

ANNINA – Si chiamerebbe chalumeau. È un nome francese.

MICHIELETTA – Scialumò, salmoè, il suono è sempre lo stesso: basso, rauco, sgraziato, ma a me piace così. È lo strumento del futuro, vedrete. Io volevo suonarlo, ma lui niente. Le musiche per il salmoè le scriveva col contagocce, e quelle poche volte che c’era una bella parte, lui la dava sempre alla Candida. Cosa aveva lei che io non avevo, eh? Quella svergognata!

ANNINA – (voltandosi indispettita verso don Antonio) E chi sarebbe questa Candida?

VIVALDI – (debolmente) Ma… sono storie di trent’anni fa…

MICHIELETTA – E cosa gli costava, per una volta, trascrivere per quattro salmoè un concerto per quattro violini dell’Estro armonico? Così avrei potuto suonarlo anch’io.

UNO SCONOSCIUTO – (con accento tedesco) Meglio quattro clavicembali.

VIVALDI – Insomma, saprò ben io come si fa a comporre, no? Li ho fatti per quattro violini, e vanno bene così!

LO SCONOSCIUTO – Io ho provato a trascriverne uno per quattro clavicembali, ed è venuto bellissimo. Ne ho trascritti altri per la tastiera del clavicembalo e dell’organo.

VIVALDI – Eccone un altro che mi copia! Dovete finirla, voi tedeschi…

PANTALONE – (mettendo una mano sul braccio di Vivaldi e rivolgendosi al tedesco) Così anche voi siete un musicista? Qual è il vostro nome, maestro?

LO SCONOSCIUTO – Johann Sebastian Bach.

PANTALONE – Bach? (sottovoce, ad Arlecchino) Mai sentito.

ARLECCHINO – Neanch’io. (A Bach) Maestro, le piace Venezia?

BACH – Non saprei. Sono qui solo in spirito…

TRUFFALDINO – (facendo un salto indietro) Un fantasma!

BACH – (con un gesto di scongiuro) Tiè! Non sono ancora morto! Sono e sono stato molte volte qui in spirito, studiando le opere dei vostri musicisti.

PANTALONE – E allora cosa pensate di don Antonio?

BACH – È grazie a lui che ho imparato a pensare in musica. Prima erano le dita che volevano suggerire quello che dovevo scrivere, poi, trascrivendo i concerti dell’Estro armonico, ho imparato a ordinare alle dita cosa devono suonare.

VIVALDI – (alle maschere e al pubblico) Avete sentito cosa dice il maestro? (Io non lo conosco, ma è sicuramente un grande maestro.) Andate a dirlo a Goldoni. Io sarei un compositore mediocre, eh? Ma lui l’ha mai sentito l’Estro armonico?

MICHIELETTA – Potremmo suonarglielo?

VIVALDI – Tu da sola, Michieletta?

MICHIELETTA – Siamo qui in tante, dei vecchi tempi. C’è anche la cosa, la svergognata… la Candida. Senza scialumò, però. Con la viola.

(Si fanno avanti le strumentiste della Pietà e attaccano il concerto n. 11 dell’Estro armonico).

VIVALDI – (con le lacrime agli occhi) Brave le mie ragazze. Chiudete gli occhi. Ascoltate questa fuga. Cosa vi fa venire in mente?

ARLECCHINO – Fuochi d’artificio che s’inseguono nel cielo…

COLOMBINA – … fontane danzanti…

PANTALONE – … un volo di aironi al tramonto…

TRUFFALDINO – (con voce commossa) … fontane di vino che zampilla, aironi allo spiedo, beccafichi in umido, maialini da latte, miglia e miglia di luganighe, il Paese della Cuccagna… (La musica finisce) Basta. Finito. Punto e a capo. Da domani è Quaresima.

VIVALDI – Per me il Carnevale è già finito. Sono in Quaresima da un pezzo.

 

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Uno chalumeau riprodotto in una tavola dell’ Encyclopédie di Diderot e d’Alembert (1767).

 


 

Il racconto continua nel libro Fantasie, quasi sonate, New Press Edizioni, 2020. Come il primo, (Fantasia su un tema del Requiem)Ultima sera di Carnevale risale al 1998, ed è stato scritto per i programmi di sala dei concerti dell’Orchestra Guido Cantelli al Conservatorio di Milano (quindi ringrazio il mio committente, l’allora responsabile dell’ufficio stampa dell’orchestra, Filippo Poletti). È uscito in quattro puntate, per un Festival Vivaldi che prevedeva per la prima serata arie dall’opera Griselda (su libretto di Goldoni), per la seconda (il brano pubblicato qui) alcuni concerti dell’Estro armonico, per la terza composizioni sacre come il Magnificat e il Gloria e infine l’oratorio Iuditha triumphans. La messinscena della vita di Vivaldi è burlesca, ma tutte le informazioni corrispondono al vero. La frase di Bach – che sostiene di aver imparato a pensare in musica, invece che lasciar fare alle dita, trascrivendo l’Estro armonico – in realtà è un giudizio critico di Johann Nikolaus Forkel (1749-1812), citato e discusso nel monumentale Bach di Piero Buscaroli (autore anche di La morte di Mozart).

A questo link trovate l’intera playlist di Spotify con la colonna sonora di Fantasie, quasi sonate.

 

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2 Commenti
  • Flavio
    Rispondi

    Buongiorno.
    Non so se questo è lo spazio giusto per scriverle, ma non ho trovato altro.
    Ho “incontrato” il suo blog per caso, cercavo informazioni sul l’infinito di “sono perplesso”.
    Ora che sono qui però, vorrei chiederle di una curiosità che lessi anni fa su un libro di grammatica che già era datato per me: il plurale singolativo. Non ne avevo mai letti esempi o applicazioni pratiche nei libri letti. Lei forse ne saprà più di me.
    Saluti

    17 dicembre 2020 at 23:26

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