*Suspence o (peggio ancora) *suspance
D’accordo, non è una parola italiana, ma indica una cosa precisa che si può dire solo così. Quindi scriviamola giusta. E continuate a leggere: c’è molto altro da scoprire (suspense!).
La suspense è lo stato di attesa e tensione in cui ci troviamo quando non sappiamo come andrà a finire (e se finirà bene) un film (o un romanzo, una scena, una situazione che stiamo vivendo). Chi sceglie grafie come *suspence e *suspance di solito si difende dicendo: l’ho scritto alla francese, mica all’inglese. Ecco, chiariamo subito: suspense si scrive sempre così, suspense, in italiano, in inglese, in francese (in un dizionario francese non troverete né *suspence né *suspance, sono strafalcioni nostri, autoctoni).
La parola in origine è inglese, ma deriva da un’espressione francese, en suspens (= in sospeso). Scritta così, e con lo stesso significato, in francese suspense è un anglismo esattamente come in italiano (anzi, per quello che valgono le date sui dizionari, la parola sarebbe entrata prima in italiano, nel 1938, e poi in francese, verso il 1955). Infatti in francese non si pronuncia con la a nasale, ma con lo stesso suono -ens (non nasale) dell’inglese e dell’italiano.
A proposito della pronuncia: in inglese e in francese l’accento è sull’ultima sillaba, mentre in italiano è molto più diffuso l’accento sulla prima; proprio come accade con report, che sia nel senso di “relazione”, “rapporto” sia come titolo di trasmissione televisiva ha (anche per i dizionari italiani) l’accento sulla e, tanto che chi sceglie la pronuncia all’inglese, con l’accento sulla sillaba finale, fa la figura dello snob. E qui ci si potrebbe domandare come mai si è sempre preso in giro chi pronuncia dépliant e collant con l’accento sulla prima sillaba, mentre le pronunce piane sàspens e rèport sono diventate regolari.
Per finire, un’annotazione sul genere. Suspense in italiano è femminile, e dunque rispetta la prassi secondo la quale le parole inglesi, quasi tutte neutre, prendono in italiano il genere della parola italiana corrispondente (in questo caso sospensione). Questa però è una prassi, un’indicazione, non una regola (pensiamo per esempio a film, maschile in italiano anche se equivale alla parola femminile pellicola). La cosa buffa è che in francese suspense è maschile; esiste anche il femminile la suspense, che indica però una censura ecclesiastica, la sospensione che colpisce un sacerdote (e questa suspense, essendo un’altra parola, a tutti gli effetti francese, si pronuncia regolarmente con la a nasale nell’ultima sillaba, come se fosse scritta suspance…).
Andrea Di Gregorio
Credo che la soluzione che la maggior parte dei parlanti nativi dell’italiano diano della questione degli accenti delle parole straniere sia semplice. Limitandoci a inglese e francese, la regola dell’errore è la seguente:
– Le parole che penso siano di origine inglese le accento quanto prima posso.
Esempi di parole inglesi pronunciate in modo errato per questa ragione:
– quartet / stage / report / collant / suspense ….
Eccezioni: management (che non si riesce proprio a pronunciare con l’accento sulla prima a, un po’ perché si pensa di dover pronunciare tutte le vocali e sarebbe una bisdrucciola; e quindi l’accento si ritrae solo fino alla seconda “a”). Probabilmente si sente anche un’affinità etimologica con “mannaggia”.
C’è poi una parola che, in effetti. sospetto sia francese, ma siccome ha un accento grosso come una casa sulla “e”, chi sono io per smentirlo? E questa parola è “dépliant”.
– Le parole che penso siano di origine francese le accento sull’ultima.
Esempi: brie (pron: brié), Roland Garros (pron: Garò).
Massimo Birattari
Quanta verità in queste considerazioni. La cosa più difficile da spiegare è il comportamento di quella misteriosa entità che è l’Uso, non nella sua accezione più bassa ma in quella elevata, l’Uso Consapevole a cui ci inchiniamo tutti, a partire da grammatiche e dizionari. L’Uso Consapevole continua a bacchettare non solo chi sbaglia l’accento di dépliant e collant, ma anche chi pronuncia la t finale (l’Uso Consapevole stasera sviene, durante le telecronache di Francia-Portogallo); mentre non fa un plissé davanti alla pronuncia rèport. Cosa ancora più strana se consideriamo che il francese ormai è abbondantemente ignorato dagli italiani, mentre l’inglese dovrebbe essere sempre più conosciuto e praticato. Che dietro l’Uso Consapevole ci sia una società segreta di anziani Illuminati cresciuti a champagne e foie gras e Moulin Rouge e Maurice Chevalier?
Andrea Di Gregorio
L’Uso è Re, come diceva il Romanziere, ma è un Re pigro. Controlla solo quel che già sa, il resto lo dà per scontato, deducibile per approssimazione.
La società dei Male Illuminati che potrebbe starci dietro sarebbe cresciuta a “tschampein” per dirla all’americana.
Viva la RenauLT (se c’è la lt ci sarà per qualcosa, no?, sennò avrebbero scritto “Renau”)
Emy Canale
Andrea, la pronuncia “tschampein” non è solo americana, ma anche britannica, hélas.
Emy Canale
Quante volte ho corretto *suspance o *suspence con “suspense”! E quante volte mi sono trovata a dover discutere di questa grafia davanti agli occhi increduli dello scrivente. Ci ho pure litigato, con certi scriventi zucconi 😀 , perché è un errore talmente diffuso che molti faticano ad accettare la vera grafia e nemmeno quando sbatti loro davanti l’OED ti credono. Comunque, per me, bilingue e anglofila, la cosa che dà altrettanto fastidio è la pronuncia con l’accento tonico errato: tutti dicono *sàspens, quando si pronuncia /səˈspɛns/ , con l’accento sulla e.
Emy Canale
Quanto alla pronuncia corretta di Roland Garros, credo che in Italia sia una battaglia persa, fino a quando i cronisti sportivi si ostineranno a mangiarsi quella s finale. È triste constatare che quegli stessi cronisti italiani si trovano là, in Francia, attorniati da persone che lo pronunciano correttamente, ma da anni non portano a casa uno straccio di lezione. Ho perfino sentito persone che avevano studiato un po’ di francese asserire, convintissime, che siccome la regoletta vuole che in francese le consonanti finali d, p, s, t siano mute (da cui il famoso espediente mnemonico di ricordare la parola “deposito”), allora anche la s di Garros sarebbe muta. A nulla vale spiegare loro che questa è un’eccezione dovuta al fatto che si tratta di un nome proprio, quello di Eugène Adrien Roland Georges Garros, aviatore della Prima guerra mondiale: non ci sentono. 😀
Emy Canale
Aggiungo, a scanso di equivoci, che probabilmente quel Garros è un cognome francese di origine spagnola (ma è una mia supposizione) la cui s finale si è mantenuta nella pronuncia francese, contravvenendo alla regola della s finale muta, pur essendo slittato l’accento tonico dalla a alla o.
Massimo Birattari
Leggo su Wikipedia che la famiglia paterna era originaria di Tolosa (di più non si dice). Comunque sono molti i cognomi francesi in cui la s finale va pronunciata. Tra i tanti celebri, George Bernanos, Paul Dukas, Philippe Ariès… Che io sappia, l’unica regola senza eccezioni della fonetica francese è quello dell’accento sull’ultima sillaba pronunciata (quindi Saint-Raphaël non avrà mai e poi mai l’accento sulla prima a, ma sempre sulla e).
Emy Canale
Vedi? Tolosa! Non distante dalla Spagna. Comunque la regoletta mnemonica di “deposito” (d, p, s, t mute in finale di parola) è vera: la insegnano ancora alle medie. Ma è disattesa nella maggior parte dei cognomi.
guido perni
Buonasera. Emy ha ragione, molto tempo fa ho letto che Roland Garros si pronuncia con la s finale, contrariamente alla regola generale, perché si tratta di un cognome di origine spagnola. Ora però mi chiedo perché mai i francesi in questo caso mantengono la pronuncia d’origine, mentre in altri no. AD esempio i cognomi di cittadini francesi di origine italiana li pronunciano secondo la regola francese, cioè tronchi se terminano in vocale, vedi Michel Piccolì, Jean Paul Belmondò, Michel Platinì, ecc. Mi sembra, questa, una bella lezione d’incoerenza. (Oppure maggior rispetto per gli spagnoli che per gli italiani…)
Massimo Birattari
I francesi hanno molti difetti, ma in questo caso non sono incoerenti. Trattano allo stesso modo i cognomi italiani, spagnoli, portoghesi ecc. francesizzati: spostano l’accento sull’ultima sillaba (Garros si pronuncia Garós, Fernandez diventa Fernandès e così via, proprio come Platini diventa Platinì). La regola veramente infrangibile della pronuncia francese, infatti, è quella dell’accento sull’ultima sillaba.
(Aggiungo un benvenuto a Grammaland a Guido Perni…)
guido perni
Allora lo francesizzano a metà, perché stando alle loro regole dovrebbero pronunciare Garó non Garós. Quindi parzialmente incoerenti. (Ringrazio per il benvenuto).
Emy Canale
Mio Ottimo Massimo, desidererei tanto un tuo post sull’orribile *fuseaux, così frequente nelle vetrine dei negozi d’abbigliamento italiani, specie negli anni Ottanta, se non l’hai già scritto. Guarda che questa è difficile, eh. 😉 T’aspetto al varco per stupire e illuminare i lettori.
E se parlare di questi pantacollant degli anni Ottanta ti dovesse sembrare démodé, perché non scrivere un post sul loro perfetto equivalente negli anni Duemila, i famigerati leggings? È dal caso della povera Yara Gambirasio che i pennivendoli continuano a propinarci i *leggins. C’è da stracciarsi i collant per la disperazione! 😀
Massimo Birattari
Qui mi cogli impreparato. Eccepisci sul plurale “fuseaux”, visto che in francese pantalon si usa al singolare, e dunque “pantalon fuseau”, abbreviato in “fuseau”? Vedo però che in italiano non solo lo Zingarelli ma anche il Treccani accolgono fuseaux (e solo fuseaux) senza fare un plissé.
Emy Canale
Questa volta l’anonimo redattore di Wikipedia è stato più preciso del dizionario Treccani e dello Zingarelli, dato che menziona sia fuseaux sia fuseau. Il termine “pantalon fuseau” (pantalon in francese si declina sempre al singolare) indicava originariamente i pantaloni da sci, aderenti e con la staffa sotto il piede, detti così perché nella forma ricordavano appunto quella di un fuso (fuseau). Ma nessun francese, né ieri né oggi, chiamerebbe mai i moderni pantaloni aderenti da donna “fuseaux”! In francese i nostri fuseaux si chiamano comunemente caleçons, termine-ombrello che, peraltro, indica anche i calzoni da uomo (caleçons pour l’homme) e perfino i boxer: credo che l’origine sia comune al nostro “calzoni”, o che derivi addirittura dalla parola italiana. La parola “fuseaux”, se usata al plurale, per un francese richiama alla mente solo e soltanto i fusi orari (fuseaux horaires) e i fusi per ricamare (fuseaux dentelles), non certo i pantaloni! Perché mai in italiano dovrebbe essere usata impropriamente al plurale? Tantopiù che si tratta di un termine straniero entrato nell’uso comune e, come tale, dovrebbe essere invariabile (diverso è il caso di jeans, che è solo plurale anche nella lingua di provenienza). Perciò li chiamerei molto più volentieri “fuseau”, con buona pace dello Zingarelli e del Treccani, che non hanno fatto altro che registrare una grafia impropria. Sono contenta, comunque, che il termine in Italia sia assai meno diffuso oggi di quanto non fosse negli anni Ottanta. Sono meno contenta che sia stato sostituito dall’inglese “leggings”, perché, come ho scritto sopra, anche in questo caso in Italia spesso si sbaglia, omettendo la terza g e scrivendo sciattamente *leggins. Rubiamo ai francesi i pantaloni sbagliati, perdiamo le staffe, ci caliamo le brache: insomma, non ne facciamo una giusta! 😀 Ciao, Massimo.
Massimo Birattari
Sì, caleçon è un italianismo come pantalone è un francesismo (anche se viene dal personaggio di Pantalone). Infatti i puristi si son sempre battuti, invano, per l’uso esclusivo di calzoni; maggior successo ha avuto invece la prescrizione di usare il termine solo al plurale (ma pantalone al singolare lo usano stilisti, negozianti di abbigliamento ecc.). Diciamo che fuseaux viola alla grande l’assunto principale del purismo, ma rispetta la seconda prescrizione…
Emy Canale
“Pantalone” al singolare è molto usato anche nel Meridione dalla gente comune.
Emy Canale
Ma se la seconda prescrizione è quella di usare il plurale *in italiano*, si può benissimo dire “i fuseau” (e non “il fuseau”), rispettando in questo modo anche la regola dell’invariabilità dei termini stranieri entrati nell’uso comune. Perché, in sostanza, ostinarsi a usare un termine francese attribuendogli una desinenza plurale quando in quella lingua al plurale quel termine significa tutt’altro?
Namì Marinuzzi
Salve, vi ho scovati per caso ed eccomi qua ad aggiungere ai cognomi famosi in cui si pronuncia la s finale anche Brassens. Mi ha sempre dato un gusto pazzesco pronunciare quella esse! Ciao, buonanotte a tutti.
Massimo Birattari
Giustissimo. E la e si pronuncia e (nasale), non a (nasale) come vorrebbe la regola usuale. I cognomi francesi (e i toponimi) nascondono un sacco di trabocchetti. Grazie della visita, torna ancora!
Namì Marinuzzi
Sì sì, nasale! Non sapevo invece che secondo la regola usuale la en in questi casi si pronunciasse a-nasale. Mi fai un esempio?
Massimo Birattari
Di solito il gruppo en si pronuncia an (a nasale): en attendant si pronuncia esattamente come se fosse scritto an attandant. Lo stesso suono an (a nasale) c’è in parole come temps, lentement, Rouen ecc. Invece en ha il suono di e nasale quando è preceduto da i: tien, gardien, Amiens. Ho sentito spesso le pronunce Brasàn o Pulàn (a nasale) invece dei giusti Brasèns e Pulènk (e nasale) per Brassens e Poulenc. Insomma, materia da Dino Villatico…